Piano USA per Gaza: Divisione in Due Enclave tra Israele e Hamas, Cresce la Preoccupazione dei Paesi Arabi
Indice
- Introduzione: il contesto del piano USA e il quadro internazionale
- Origini e presupposti del piano: il ruolo di Vance, Kushner e la politica estera statunitense
- Gli elementi chiave: divisione della Striscia di Gaza in due enclave
- Il nodo delle risorse: fondi per la ricostruzione e il dilemma Hamas
- Posizionamento dei governi arabi: motivazioni e reazioni
- Cisgiordania: l’annessione come minaccia alla pace secondo gli USA
- Questioni critiche e punti controversi
- Analisi delle possibili conseguenze geopolitiche
- Le reazioni internazionali e le prospettive future
- Sintesi e conclusioni
Introduzione: il contesto del piano USA e il quadro internazionale
Nell’autunno del 2025 il conflitto israelo-palestinese continua a dominare l’agenda politica del Medio Oriente e del mondo. La tregua raggiunta fra Israele e Hamas ha aperto la strada, secondo gli Stati Uniti, a una nuova fase impegnata nella ricostruzione e nella stabilizzazione dell’area. In questo scenario, il cosiddetto "piano USA Gaza" suggerisce una soluzione inedita: la divisione della Striscia di Gaza in due enclave, una controllata da Israele e una da Hamas. Secondo gli autori del piano, Jared Kushner e James Vance, questo assetto provvisorio sarebbe funzionale a una transizione ordinata e ad un lento passaggio verso la fine del dominio di Hamas nella regione.
Il progetto, però, ha incontrato forti resistenze da parte dei Paesi arabi e ha suscitato molte domande sulla sua effettiva applicabilità e sulla coerenza con gli obiettivi di una pace stabile e duratura. Approfondiamo di seguito tutti gli aspetti del "piano USA Gaza", i risvolti politici e le reazioni che agitano la diplomazia internazionale.
Origini e presupposti del piano: il ruolo di Vance, Kushner e la politica estera statunitense
Il nuovo piano statunitense prende corpo in un momento delicatissimo delle relazioni mediorientali. L’amministrazione USA, coinvolta fin dai primi giorni dell’escalation di Gaza, ha progressivamente costruito una posizione di “terza parte attiva”, non soltanto come mediatore neutrale ma come sponsor di alcuni modelli possibili di convivenza.
Jared Kushner, già consigliere di Donald Trump per il Medio Oriente e artefice degli Accordi di Abramo, in collaborazione con James Vance (attuale membro dell'establishment politico USA), ha presentato un’iniziativa che, nelle intenzioni, vorrebbe portare benefici sia alla sicurezza di Israele sia alla popolazione civile palestinese.
Secondo questa visione, solo una netta separazione tra Hamas e la popolazione palestinese permetterebbe la canalizzazione di fondi internazionali per la ricostruzione di Gaza. D’altra parte, questa impostazione segue una linea storica nella politica estera americana: il sostegno a Israele con apertura su soluzioni sperimentali che provochino l’indebolimento delle frange estremiste palestinesi.
Gli elementi chiave: divisione della Striscia di Gaza in due enclave
Il fulcro del "piano USA Gaza" risiede nella proposta di dividere la stretta striscia di territorio di Gaza in due distinte enclave. La prima, sotto controllo israeliano, dovrebbe coincidere con le aree di confine settentrionali e con i punti di accesso cruciali per la sicurezza. La seconda enclave, affidata in questa fase a una supervisione limitata di Hamas, rappresenterebbe uno spazio transitorio in cui disinnescare gradualmente il potere delle milizie.
Lo schema di divisione, secondo i proponenti, prevede:
- Controllo rigido dei varchi di accesso e dei corridoi umanitari sotto supervisione internazionale.
- Avvio di una ricostruzione selettiva ("ricostruzione Gaza fondi USA") solo nelle aree disarmate e libere da Hamas.
- Condizionalità sull’uso dei fondi: gli aiuti economici saranno concessi a patto che la popolazione locale collabori per liberarsi di Hamas dalla gestione politica e sociale delle enclave.
- Monitoraggio continuo da parte di osservatori internazionali e collaborazione con le Nazioni Unite.
Questo assetto non implica uno status permanente, ma rappresenta il "passaggio obbligato" secondo Washington per allontanare progressivamente le milizie radicali dal tessuto civile di Gaza.
Il nodo delle risorse: fondi per la ricostruzione e il dilemma Hamas
Un elemento cardine del "piano USA Gaza" è il legame diretto tra aiuti internazionali, ricostruzione delle infrastrutture locali e riduzione del potere di Hamas. Vance e Kushner hanno dichiarato pubblicamente l’intenzione di sostenere i palestinesi solo "a condizione dell’emarginazione di Hamas" sul piano politico e amministrativo.
Le aree che dovessero rimanere sotto il controllo del gruppo armato sarebbero automaticamente escluse dai fondi di ricostruzione, un criterio fortemente criticato dalle organizzazioni umanitarie che temono un deterioramento ulteriore della crisi umanitaria.
Dettagli sulle modalità di distribuzione dei fondi:
- Assistenza diretta controllata: i fondi, secondo il piano, verranno distribuiti attraverso una task force internazionale che includa rappresentanti ONU e soggetti terzi accreditati dagli Stati Uniti.
- Incentivo all’auto-governo locale: nelle enclave "liberate", la gestione dei progetti (acqua, sanità, energia) sarà affidata a governi locali tecnici con la supervisione americana.
- Esclusione delle milizie: ogni tentativo di infiltrazione di Hamas nei meccanismi di spesa porterà all’interruzione immediata dei finanziamenti.
Questa impostazione, se da un lato intende favorire una nuova classe dirigente palestinese, pone forti interrogativi sulla effettiva capacità della popolazione di emanciparsi da Hamas in breve tempo e sulla possibile nascita di nuovi gruppi estremisti in reazione alla pressione esterna.
Posizionamento dei governi arabi: motivazioni e reazioni
Uno dei punti più controversi del "piano USA Gaza" è la netta opposizione manifestata dai principali governi arabi. Egitto, Giordania, Arabia Saudita, Qatar ed Emirati hanno espresso in modo diretto il loro dissenso rispetto alla divisione della Striscia di Gaza in enclave. Secondo questi Paesi, il piano rappresenterebbe:
- Un precedente dannoso per l’unità territoriale della Palestina, fondamentale per ogni futuro processo di pace.
- Un incentivo al consolidamento della presenza israeliana nei territori palestinesi.
- Un rischio di legittimare de facto la separazione tra Gaza e Cisgiordania, indebolendo la causa palestinese nel suo complesso.
Molti commentatori arabi hanno sottolineato che la "divisione Striscia di Gaza" rilancia una prospettiva di frammentazione per l’intero popolo palestinese, già duramente provato da anni di conflitti, embargo e instabilità. In vari forum diplomatici, i rappresentanti della Lega Araba hanno chiesto a Washington di riconsiderare l’intero impianto del piano, proponendo invece l’avvio di una conferenza di pace multilaterale con il coinvolgimento diretto di tutte le parti.
Cisgiordania: l’annessione come minaccia alla pace secondo gli USA
Un ulteriore aspetto ricorrente nel dibattito riguarda il destino della Cisgiordania e le dichiarazioni del Segretario di Stato USA Marco Rubio, il quale ha ribadito pubblicamente che "l’annessione della Cisgiordania da parte di Israele rappresenta una minaccia per la pace" e rischia di annullare gli sforzi fatti sul dossier di Gaza.
Inoltre, nel contesto del "piano USA Gaza", la questione cisgiordana rimane un nervo scoperto, con Israele che continua a costruire insediamenti e la comunità internazionale sempre più in difficoltà nel promuovere una vera soluzione due popoli/due Stati.
Rubio ha quindi richiamato alla responsabilità le parti in causa, evidenziando che ogni azione unilaterale (come annessioni o riconoscimenti forzati delle enclave sotto controllo israeliano) ridurrebbe ulteriormente le possibilità di giungere a un compromesso accettabile per tutti.
Questioni critiche e punti controversi
Le critiche al "piano USA Gaza" non si limitano alle posizioni dei governi arabi. Vari analisti, think tank e ONG internazionali hanno fatto emergere numerosi dubbi, tra cui:
- L’assenza di un chiaro orizzonte temporale: la "provvisorietà" delle enclave rischia di tramutarsi in una nuova soluzione permanente de facto.
- La gestione delle esigenze primarie della popolazione civile, soprattutto nelle zone che verrebbero tagliate fuori dagli aiuti internazionali per la persistenza della presenza di Hamas.
- Il rischio che la divisione della Striscia alimenti tensioni, ondate di migrazione interna e il proliferare di nuove milizie radicali.
Inoltre, alcuni diplomatici occidentali sottolineano come una tale pianificazione richieda il consenso di tutte le parti coinvolte – consenso che al momento appare lontanissimo.
Analisi delle possibili conseguenze geopolitiche
Sul piano geopolitico, la "divisione enclave Gaza Israele Hamas" avrebbe ricadute profonde non solo sul piano locale, ma anche sulle relazioni tra USA, Israele, UE e mondo arabo. In particolare:
- Rischio di escalation: elementi residuali di Hamas e altre forze estremiste potrebbero radicalizzarsi ulteriormente, intensificando attacchi o praticando forme di sabotaggio contro la ricostruzione.
- Indebolimento della causa palestinese: la separazione territoriale rischia di rendere più difficile la formazione di un governo unico e rappresentativo sia per Gaza sia per la Cisgiordania.
- Complicazioni per l’asse Washington-Arabia Saudita: il dissenso saudita potrebbe portare a un raffreddamento delle relazioni con gli Stati Uniti, proprio mentre sono in corso delicati negoziati energetici e di sicurezza.
- Ripercussioni sugli accordi di normalizzazione (“Abraham Accords”): la spaccatura arabo-palestinese rischia di mettere a dura prova i già fragili equilibri diplomatici costruiti negli ultimi anni.
Le reazioni internazionali e le prospettive future
Di fronte a questo scenario, le reazioni della comunità internazionale sono state variegate. L’Unione Europea, pur evitando un appoggio esplicito alla divisione proposta dagli USA, ha invocato una soluzione sostenibile e rispettosa del diritto internazionale. Paesi come Francia, Germania e Italia hanno espresso preoccupazione per la tenuta umanitaria e per l’isolamento progressivo della popolazione più vulnerabile (oltre 2 milioni di abitanti, secondo i dati ONU).
Possibili evoluzioni del confronto
- Conferenze e dialogo multilaterale: si discute della convocazione di una nuova "Conferenza di Madrid" allargata a tutti i soggetti regionali per trovare una soluzione condivisa.
- Apertura di corridoi umanitari stabili: oltre a quelli temporanei già esistenti, nuove proposte vengono avanzate per assicurare almeno beni essenziali e assistenza sanitaria continua.
- Ruolo crescente della Turchia e dell’Egitto: questi Paesi mirano a proporsi come "controparte terza" nella gestione delle enclave, spingendo perché Hamas partecipi a una transizione politica controllata.
Sintesi e conclusioni
Il "piano USA Gaza", centrato sulla "divisione della Striscia di Gaza" in due enclave separate sotto controllo israeliano e di Hamas, rappresenta una svolta controversa nell’annoso dossier israelo-palestinese. Se il progetto offre una suggestsione di passaggio verso una nuova fase, appare al momento difficilmente sostenibile senza il consenso delle popolazioni interessate e delle leadership regionali.
L’opposizione dei governi arabi, i rischi di deterioramento umanitario e la scarsa chiarezza operativa sugli orizzonti temporali espongono il piano a seri rischi di fallimento. Nel frattempo, la minaccia di annessione della Cisgiordania rimane un ulteriore ostacolo per la pace e la stabilità dell’area. La soluzione del conflitto israelo-palestinese, dunque, resta ancora lontana: il successo di ogni iniziativa, compreso il "piano USA Gaza", dipenderà dalla reale capacità di coniugare sicurezza, riconoscimento dei diritti e sviluppo socio-economico, evitando nuovi muri e nuove divisioni.
Solo un dialogo inclusivo, guidato dal rispetto del diritto internazionale e accompagnato da un forte sostegno umanitario, potrà gettare le basi per una pace duratura tra Israele, il popolo palestinese e i loro vicini arabi.