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CBAM: Il nuovo dazio ambientale dell’UE che minaccia le imprese europee
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CBAM: Il nuovo dazio ambientale dell’UE che minaccia le imprese europee

Disponibile in formato audio

Analisi delle conseguenze del Carbon Border Adjustment Mechanism voluto da Bruxelles e le preoccupazioni delle industrie secondo Antonio Gozzi

CBAM: Il nuovo dazio ambientale dell’UE che minaccia le imprese europee

Indice

  • Introduzione al CBAM UE
  • Origine e finalità del nuovo dazio green
  • Come funziona il dazio ambientale sulle importazioni
  • Le dichiarazioni di Antonio Gozzi: rischi per le imprese europee
  • L’impatto del CBAM sulle industrie di base
  • Esenzioni e contraddizioni: il caso delle PMI
  • Focus: automotive e altri settori strategici a rischio
  • Il punto di vista di Bruxelles e della Commissione UE
  • CBAM e costi della decarbonizzazione: un confronto internazionale
  • Reazioni e strategie delle imprese alla nuova disciplina
  • Gli effetti sul mercato del lavoro e sulla competitività europea
  • Verso una revisione delle politiche green UE?
  • Conclusioni e prospettive future

Introduzione al CBAM UE

Il CBAM UE (Carbon Border Adjustment Mechanism) è il nuovo strumento introdotto dall’Unione Europea per combattere il cambiamento climatico attraverso un dazio sulle importazioni di prodotti provenienti da Paesi extra UE a elevato impatto carbonico. La misura, già ribattezzata nuovo dazio green di Bruxelles, sta facendo molto discutere gli operatori economici e le associazioni di categoria, preoccupati per l’impatto del CBAM sulle aziende europee. A lanciare l’allarme, tra i più autorevoli, è Antonio Gozzi: il noto imprenditore e manager del settore siderurgico, che indica nel CBAM una delle cause di possibile chiusura per molte imprese del continente.

Origine e finalità del nuovo dazio green

Il dazio ambientale sulle importazioni previsto dal CBAM nasce dalla volontà dell’Unione Europea di accelerare sul fronte della decarbonizzazione, riducendo le emissioni di CO2 associate alla produzione industriale. L’obiettivo dichiarato dalle politiche green UE è duplice:

  • disincentivare il cosiddetto “carbon leakage”, ovvero lo spostamento della produzione verso Paesi dove le normative ambientali sono meno stringenti;
  • tutelare la competitività degli operatori europei, costretti a sostenere costi più elevati per la riduzione delle emissioni.

Ma la strada scelta non convince tutti. Secondo molti addetti ai lavori – Gozzi in primis – il CBAM UE rischia di aggravare una situazione già difficile, imponendo ulteriori oneri soprattutto ai settori strategici e alle filiere industriali di base.

Come funziona il dazio ambientale sulle importazioni

Il funzionamento del nuovo dazio ambientale importazioni poggia su un meccanismo formale abbastanza complesso:

  • Le aziende che importano in Europa prodotti da Paesi extra UE “carbon intensive” devono acquistare speciali certificati pari alla quantità di CO2 incorporata nei beni importati.
  • La misura riguarda categorie di prodotti come acciaio, cemento, alluminio, fertilizzanti e energia elettrica, ma nei prossimi anni potrebbe estendersi ad altri ambiti, incluso l’automotive.
  • Il costo di tali certificati – che replica quello dei diritti di emissione nel mercato ETS UE – si aggiunge ai costi di produzione, con il rischio di rendere anti-economiche molte operazioni commerciali.

Il cuore del meccanismo CBAM sta nella richiesta, per ogni lotto di merce importata, di un’apposita certificazione dell’impronta carbonica, documentando in dettaglio le emissioni che hanno accompagnato il processo produttivo. Un onere non indifferente in particolare per le piccole aziende e le filiere meno strutturate.

Le dichiarazioni di Antonio Gozzi: rischi per le imprese europee

Antonio Gozzi, amministratore delegato del Gruppo Duferco ed ex presidente di Federacciai, è tra le voci più critiche rispetto all’approccio adottato dalla Commissione Europea. Secondo Gozzi, “il CBAM finirà per ostacolare tutto il sistema industriale europeo. Le aziende europee”, sostiene, “devono pagare per le emissioni di CO2 anche quando non hanno ancora la possibilità tecnica di decarbonizzare: è un’imposizione amministrativa che non tiene conto delle condizioni industriali reali”.

Gozzi sottolinea come l’introduzione del dazio ambientale rischi di produrre un cortocircuito, imprigionando le nostre imprese tra due fuochi:

  • Da un lato, l’obbligo di acquistare i permessi per le proprie emissioni;
  • Dall’altro, il costo dei certificati CBAM per l’importazione di componentistica e materie prime estere.

Questa doppia penalizzazione potrebbe portare, secondo il manager, a una progressiva perdita di competitività delle filiere d’eccellenza del continente, con effetti diretti sulle chiusure aziendali e sull’occupazione. “Invece di aiutarci a innovare – ammonisce Gozzi – rischiamo di restare senza imprese”.

L’impatto del CBAM sulle industrie di base

Le industrie di base, come acciaierie, cementifici, vetrerie e fonderie, sono le più colpite dal nuovo assetto normativo.

Questi settori sono tradizionalmente caratterizzati da processi produttivi ad alto consumo energetico e emissioni di CO2 particolarmente elevate. Tuttavia, molte delle tecnologie alternative a basso impatto sono ancora a uno stadio sperimentale o non sufficientemente mature per essere implementate su larga scala.

Per tali imprese, il CBAM si traduce in costi aggiuntivi che spesso non possono essere assorbiti né “scaricati a valle” al cliente finale. Il rischio, quindi, è quello di:

  • Erosione dei margini di profitto;
  • Riduzione della capacità produttiva e degli investimenti in innovazione;
  • Chiusura di stabilimenti produttivi europei, con inevitabili ricadute sull’occupazione.

Numerosi operatori, tra cui lo stesso Antonio Gozzi, ritengono il nuovo dazio carbonio Bruxelles potenzialmente letale per la filiera industriale UE.

Esenzioni e contraddizioni: il caso delle PMI

Vale la pena sottolineare che, nella sua formulazione attuale, il meccanismo CBAM prevede l’esenzione per le piccole e medie imprese: un elemento che, se da un lato tutela una fetta rilevante del tessuto produttivo europeo, dall’altro genera alcune distorsioni e contraddizioni.

Infatti:

  • Le PMI sono escluse dal pagamento dei certificati CBAM, mentre le industrie di base non godono di corti simili.
  • L’esclusione rischia di spostare la responsabilità (e il peso dei costi) sulle grandi imprese, innescando una potenziale catena di svantaggi competitivi.
  • Vi è inoltre la possibilità che grandi gruppi, per evitare il dazio ambientale, frazionino le filiere o ricorrano all’outsourcing verso fornitori minori, riducendo la forza complessiva del sistema Europa.

Questo scenario alimenta le preoccupazioni di quanti denunciano la crescente pressione fiscale sulle imprese UE a scapito della capacità di sostenere la transizione green senza perdere competitività.

Focus: automotive e altri settori strategici a rischio

Benché il settore automotive non sia ancora ufficialmente incluso tra quelli soggetti al CBAM, gli addetti ai lavori prevedono una sua rapida estensione anche alle catene di montaggio e produzione dei veicoli. Nel caso dei motori, dei componenti elettronici, delle batterie e dei materiali compositi importati, il rischio di maggiori costi non fa che aumentare la tensione tra produttori e fornitori internazionali.

Le stime parlano di un potenziale impatto milionario per tutta la filiera automotive europea, dal momento che la maggior parte dei costruttori si affida a semilavorati e pezzi provenienti da Paesi extra UE come Cina, India, Turchia e altri giganti industriali – spesso con livelli di emissioni molto alti. L’effetto CBAM automotive potrebbe così tradursi in:

  • Maggiori spese per le aziende europee;
  • Rallentamento dello sviluppo di auto elettriche e ibride;
  • Aumento dei prezzi al consumatore finale;
  • Potenziale rilocalizzazione delle produzioni in Paesi meno “green”.

E se il comparto dell’automotive è nel mirino, altre filiere strategiche come la chimica o l’elettromeccanica rischiano di subire analoghe conseguenze.

Il punto di vista di Bruxelles e della Commissione UE

Nonostante le polemiche, la Commissione UE difende l’introduzione del CBAM come una necessità per raggiungere gli obiettivi climatici fissati dal Green Deal europeo. Per l’esecutivo comunitario, il dazio ambientale è uno strumento equo proprio perché applicato alle importazioni da Paesi che non adottano limiti stringenti alle emissioni.

Le istituzioni sottolineano come il CBAM sia stato studiato per:

  • Evitare distorsioni della concorrenza internazionale;
  • Garantire una “level playing field” tra produttori europei e stranieri;
  • Incentivare la decarbonizzazione anche fuori dai confini UE.

Tuttavia questa posizione non sembra convincere del tutto il mondo produttivo: secondo Antonio Gozzi e numerosi osservatori, il rischio concreto è quello di “disegnare politiche green UE” troppo teoriche e lontane dalla realtà concreta delle imprese.

CBAM e costi della decarbonizzazione: un confronto internazionale

Il costo della decarbonizzazione resta uno degli snodi critici più complessi, soprattutto se confrontato con le dinamiche globali.

  • Negli Stati Uniti, la transizione è supportata da incentivi e da una gradualità normativa;
  • In Asia, molti Paesi non hanno ancora adottato standard stringenti o applicano sistemi di compensazione molto meno gravosi;
  • Nel contesto sudamericano e africano, la questione non è neppure all’ordine del giorno.

L’UE rischia così di trovarsi “più avanti” degli altri partner commerciali, ma anche esposta a una perdita di attrattività per gli investimenti industriali e a una pericolosa chiusura di aziende nei settori più energivori. I timori di Gozzi si inseriscono in questo quadro: se l’Europa diventa il luogo meno conveniente per produrre beni e semilavorati, il rischio di delocalizzazione cresce in modo esponenziale.

Reazioni e strategie delle imprese alla nuova disciplina

Di fronte al nuovo CBAM UE, le imprese europee stanno adottando diverse strategie:

  • Alcune aziende accelerano i programmi di decarbonizzazione, nella speranza di ridurre l’esposizione ai nuovi dazi;
  • Altre cercano accordi con fornitori UE per evitare l’acquisto di materiali e componenti “carbon intensive” dall’estero;
  • Le più grandi investono su tecnologie di monitoraggio delle emissioni, in modo da certificare rapidamente la propria “impronta carbonica” e limitare le contestazioni doganali.

Non mancano, tuttavia, operatori che paventano la necessità di tagliare la forza lavoro, sospendere investimenti o prendere in considerazione la rilocalizzazione produttiva fuori dal territorio europeo, a causa dei costi CBAM industrie UE crescenti.

Gli effetti sul mercato del lavoro e sulla competitività europea

L’adozione del CBAM provocherà inevitabilmente

  • una riduzione dei margini e degli utili per le aziende colpite;
  • la possibilità di chiusure o ristrutturazioni aziendali;
  • un impatto diretto e indiretto sul mercato del lavoro, soprattutto nei comparti ad alto tasso di occupazione come siderurgia, automotive e chimica.

In assenza di misure compensative, il nuovo dazio rischia di indebolire la posizione dell’Europa nel quadro competitivo globale, favorendo player extra UE meno attenti agli standard ambientali ma più agguerriti dal punto di vista industriale.

Verso una revisione delle politiche green UE?

Le pressioni di imprenditori come Antonio Gozzi e le continue preoccupazioni degli operatori spingono molti a chiedere una revisione delle politiche green UE. Tra le proposte avanzate dalle associazioni di categoria e dagli esperti:

  • Prolungare i periodi transitori di attuazione del CBAM;
  • Prevedere incentivi fiscali per le aziende più virtuose;
  • Attivare fondi di sostegno per la decarbonizzazione delle filiere di base;
  • Valutare l’impatto reale dei dazi sulle singole filiere prima di estendere ulteriormente il meccanismo.

La sfida dei prossimi mesi sarà trovare un equilibrio tra necessità ambientali e sostenibilità economica, senza sacrificare la competitività del sistema produttivo europeo in nome di obiettivi teorici e difficilmente raggiungibili nel breve termine.

Conclusioni e prospettive future

Il CBAM UE rappresenta uno degli strumenti più radicali mai introdotti dall’Unione Europea in ambito ambientale. Mentre la Commissione difende la misura come indispensabile per la tutela del clima e la coerenza del mercato unico, crescono i timori di una vera “fuga” delle industrie di base dal continente. Le preoccupazioni di imprenditori come Antonio Gozzi rimangono al centro del dibattito pubblico: la sfida per il futuro dell’industria europea si giocherà sulla capacità di coniugare ecologia, innovazione e competitività, senza lasciare indietro nessun comparto o territorio.

Le settimane a venire potrebbero essere decisive: dalle riposte di Bruxelles e dalla concertazione tra istituzioni e industria dipenderà buona parte del futuro produttivo europeo e della possibilità, per le nostre imprese, di restare protagoniste nell’economia globale.

Pubblicato il: 30 maggio 2025 alle ore 06:10

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