Università di Bologna nega il corso di Filosofia per l’Esercito: decisione autonoma o discriminazione?
Indice
- Introduzione
- La richiesta dell’Esercito: Filosofia per i giovani ufficiali
- Il rifiuto dell’Università di Bologna
- La reazione del Generale Carmine Masiello
- Giovanni Molari e la posizione accademica
- Il punto di vista del Dipartimento di Filosofia
- Il ruolo del Collettivo Universitario Autonomo (CUA)
- Il dibattito sulla militarizzazione dell’università
- Il contesto nazionale e internazionale
- Le implicazioni accademiche e sociali
- Possibili soluzioni e scenari futuri
- Sintesi e conclusioni
Introduzione
La recente decisione dell’Università di Bologna di negare la richiesta dell’Esercito Italiano per l’attivazione di un corso di laurea in filosofia destinato ai giovani ufficiali ha acceso un acceso dibattito tra studenti, accademici, istituzioni militari e società civile. La vicenda, che vede protagonisti il generale Carmine Masiello, il rettore Giovanni Molari, il Dipartimento di filosofia e il colletivo universitario CUA, pone una serie di quesiti sulla relazione tra mondo militare e mondo accademico, sul principio di autonomia universitaria e sulla presenza delle istituzioni militari negli atenei italiani.
La tematica si inserisce nel contesto più ampio della discussione sulla cosiddetta militarizzazione delle università italiane e sugli equilibri fra autonomia accademica, libertà di insegnamento e richieste provenienti da soggetti esterni, pubblici o privati, anche istituzionali. In questo articolo indagheremo in profondità la vicenda, le sue motivazioni, le reazioni dei protagonisti e gli scenari possibili, mantenendo la massima attenzione a fornire una narrazione accurata e aggiornata su questa rilevante questione che coinvolge l'Università di Bologna, la filosofia e l’Esercito.
La richiesta dell’Esercito: Filosofia per i giovani ufficiali
Secondo le fonti ufficiali, il Capo di Stato Maggiore dell’Esercito, Carmine Masiello, ha formalmente richiesto all’Università di Bologna di attivare un corso di laurea in filosofia riservato ai giovani ufficiali. La motivazione alla base della proposta era duplice: offrire agli ufficiali una formazione umanistica di alto livello e creare un ponte tra la riflessione filosofica e l’etica militare. L’idea era che una solida preparazione filosofica potesse affiancarsi alle competenze tecnico-militari, sviluppando un senso critico, capacità di valutazione etica e apertura mentale negli appartenenti alle forze armate.
Questa richiesta, secondo quanto dichiarato da Masiello, rappresentava anche un tentativo di avvicinare il mondo accademico e quello militare in chiave moderna, superando vecchi dualismi e possibilità di contaminazione positiva tra differenti ambiti della vita pubblica. Il progetto avrebbe visto la partecipazione di giovani reclute selezionate, pronte a seguire un percorso formativo parallelo agli studi militari, in uno degli atenei più prestigiosi d’Italia.
Il rifiuto dell’Università di Bologna
Il consiglio del Dipartimento di Filosofia dell’Università di Bologna ha però deciso di rigettare la richiesta avanzata dal Capo di Stato Maggiore dell’Esercito. La decisione, secondo quanto emerso, è stata presa in perfetta autonomia dal Dipartimento, che ha valutato la proposta non conforme alle linee guida didattiche e ai valori fondanti dell’offerta formativa. La rettrice Giovanni Molari ha poi confermato che non è stata una decisione della governance centrale, ma una scelta tecnica e pedagogica dell’organismo direttamente coinvolto.
La motivazione ufficiale risiede nell’impossibilità, dal punto di vista della didattica e dell’organizzazione, di dedicare un corso di laurea “su misura” per un corpo statale, che rischierebbe di determinare un precedente per ulteriori richieste similari da parte di altri enti, sia pubblici che privati. Il Dipartimento si è inoltre interrogato sull’opportunità di un’offerta didattica riservata, in una facoltà che fa della pluralità e della libertà di accesso uno dei principi cardine.
La reazione del Generale Carmine Masiello
Carmine Masiello, intervistato alla luce del rifiuto ricevuto dall’Università di Bologna, non ha nascosto la propria delusione. Il generale ha sottolineato come, a suo giudizio, la decisione rappresenti una forma di discriminazione ai danni dell’Esercito e dei suoi giovani ufficiali. Secondo Masiello, la scelta dell’ateneo bolognese segnala una chiusura mentale e culturale, non coerente con il ruolo della filosofia quale strumento di dialogo, apertura e riflessione critica.
Lo stesso Masiello, nelle sue dichiarazioni, ha rimarcato quanto la formazione filosofica sia compatibile e persino auspicabile anche per il personale militare, in ragione delle nuove sfide che le forze armate si trovano ad affrontare in scenari assai complessi e mutevoli. Il generale ha infine invitato il mondo accademico a considerare gli ufficiali non come «nemici» della cultura, ma come soggetti portatori di esigenze formative reali e contemporanei.
Giovanni Molari e la posizione accademica
Il rettore Giovanni Molari è intervenuto per chiarire la posizione dell’Università di Bologna mediante una nota ufficiale e dichiarazioni rilasciate al quotidiano Corriereuniv. Molari ha spiegato che la volontà di non accogliere la richiesta dell’Esercito è scaturita unicamente dalla valutazione autonoma del Dipartimento di Filosofia, nel pieno rispetto dell’autonomia accademica garantita dalla legge.
Molari, sottolineando il rispetto per tutte le istituzioni statali, ha però ribadito che l’università ha il dovere di mantenere la propria indipendenza progettuale e pedagogica, evitando di cedere a pressioni esterne che possano scalfire i propri principi. In particolare, il rettore ha ricordato che ogni dipartimento ha facoltà di definire la propria offerta sulla base di criteri interni e che nessuna chiusura ideologica è ravvisabile nella scelta compiuta.
Il punto di vista del Dipartimento di Filosofia
Entrando nel merito della decisione del Dipartimento di Filosofia, occorre sottolineare la complessità del caso. I docenti responsabili hanno valutato attentamente gli aspetti organizzativi, didattici ed etici. In primis, si è temuto che la creazione di un corso ad hoc per l’Esercito potesse costituire un’anomalia sia dal punto di vista dell’accessibilità (riservato solo a pochi ufficiali selezionati) sia dal punto di vista della missione stessa della filosofia, disciplina per sua natura universale e al servizio della collettività.
Numerosi docenti si sono espressi in senso contrario, sottolineando che la filosofia non andrebbe “personalizzata” su misura di determinati corpi o categorie, ma mantenuta come terreno di confronto aperto fra tutte le componenti della società. Altri hanno rimarcato i rischi di un’indebita influenza di soggetti esterni sulle scelte curricolari e programmatiche dell’ateneo.
Il ruolo del Collettivo Universitario Autonomo (CUA)
Particolarmente critica è stata la posizione del Collettivo Universitario Autonomo (CUA), gruppo noto per le battaglie in favore della libertà accademica e contro ogni tentativo di influsso esterno, soprattutto da parte delle istituzioni militari e delle forze dell’ordine. Il CUA si è distinto per una decisa opposizione all’ipotesi di un corso di laurea riservato agli ufficiali dell’Esercito, definendo questa iniziativa l’ennesima manifestazione di un processo di militarizzazione delle università italiane.
Attraverso comunicati ufficiali, presidi e assemblee, il collettivo ha rimarcato i pericoli connessi a una gestione sempre più “direttiva” e meno democratica delle scelte accademiche, richiamando l’attenzione su precedenti casi simili avvenuti anche in altri atenei italiani. Il CUA ritiene indispensabile che le università restino spazi di libera espressione, confronto e crescita indipendenti da logiche di potere esterne.
Il dibattito sulla militarizzazione dell’università
L’episodio di Bologna si inserisce, dunque, in un dibattito più ampio relativo alla presunta militarizzazione delle università italiane. Il termine indica una crescente presenza di soggetti militari (forze armate, polizia, ecc.) nelle strutture universitarie, tramite convenzioni, seminari, corsi o attività di formazione dedicate. Questo fenomeno viene talvolta letto in termini positivi (come apertura, contaminazione, cultura della difesa), ma spesso anche in chiave critica, in relazione all’autonomia didattica e ai possibili rischi di snaturamento del ruolo degli atenei.
I casi di collaborazioni tra università e mondo militare non sono rari in Italia, specie nell’ambito delle discipline tecnico-scientifiche e della ricerca. Tuttavia, l’idea di destinare un corso umanistico come filosofia esclusivamente a militari risulta meno frequente e solleva interrogativi specifici, accentuati dal profilo storico e valoriale di Bologna, patria della formazione libera e universale.
Il contesto nazionale e internazionale
A livello nazionale, diversi atenei hanno stabilito collaborazioni con l’Esercito e altre forze armate, orientandosi su percorsi di studio tecnici o relativi alla sicurezza, spesso condivisi anche con studenti civili. La situazione bolognese rappresenta dunque una specificità, per il rifiuto motivato dal Dipartimento di Filosofia e il dibattito che ne è derivato.
A livello internazionale, invece, non mancano esempi di militari che frequentano corsi universitari, anche umanistici. Negli Stati Uniti, ad esempio, molti ufficiali studiano nelle più prestigiose università civili per ampliare il loro bagaglio culturale e strategico. Tuttavia, raramente tali corsi sono progettati su misura solo per loro, mantenendosi invece aperti ad una platea più ampia.
Le implicazioni accademiche e sociali
La questione solleva una serie di implicazioni rilevanti su più livelli:
- Accademico: Il rischio di una diversificazione dei percorsi didattici per categorie professionali può mettere in crisi l’unicità e l’universalità dell’offerta formativa.
- Sociale: La percezione di una possibile discriminazione, ma anche il timore di ingerenze o di perdita del ruolo critico delle università.
- Culturale: L’apertura a nuove forme di contaminazione può essere positiva, purché non intacchi i princìpi fondamentali della libertà accademica e di accesso.
Il dibattito mostra quindi come la richiesta dell’esercito – seppur legittima nella sostanza – si sia scontrata con sensibilità diverse, legate sia a principi organizzativi che a più ampie questioni sociali e culturali.
Possibili soluzioni e scenari futuri
Alla luce di quanto avvenuto, si possono ipotizzare alcune possibili strade per il futuro:
- Avvio di corsi trasversali: L’università potrebbe promuovere corsi inclusivi, aperti sia a militari che a civili, senza distinzioni, nel rispetto dei valori accademici e della pluralità.
- Collaborazioni su progetti specifici: L’ateneo potrebbe accettare scambi e collaborazioni su singoli progetti, evitando percorsi ad hoc per categorie ristrette.
- Chiarimento normativo: Il Ministero dell’Università potrebbe emanare linee guida sui criteri per attivare collaborazioni con realtà esterne, limitando rischi di contenziosi e discriminazioni.
Queste vie permetterebbero di salvaguardare l’autonomia universitaria e favorire un confronto costruttivo tra mondi diversi, valorizzando tanto le esigenze formative dell’Esercito quanto i principi di apertura e pluralità tipici dell’accademia.
Sintesi e conclusioni
La vicenda del rifiuto, da parte dell’Università di Bologna, della proposta dell’Esercito di attivare un corso di laurea in filosofia per giovani ufficiali ha evidenziato la complessità e l’attualità del dibattito intorno al rapporto tra mondo accademico e mondo militare. La vicenda ha visto confrontarsi la richiesta formativa avanzata da Carmine Masiello, il no motivato del Dipartimento di Filosofia, la posizione di salvaguardia dell’autonomia accademica espressa dal rettore Molari e le proteste del collettivo CUA contro ogni forma di militarizzazione delle università.
L’episodio rappresenta una cartina di tornasole delle tensioni che attraversano oggi l’università italiana, chiamata a coniugare autonomia, universalità, apertura e responsabilità sociale. Il caso bolognese, nel suo piccolo, rilancia una domanda di fondo: è possibile collaborare, in maniera costruttiva, tra accademia e istituzioni militari, senza snaturare il ruolo della conoscenza e senza cedere a rischi di discriminazione o di influenza esterna?
Il dibattito resta aperto, e sarà compito delle università, delle istituzioni e della società civile trovare un punto di sintesi fra esigenze formative, principi democratici e rispetto delle autonomie. Intanto, a Bologna come altrove, il "caso filosofia-esercito" lascia una traccia indelebile su un tema destinato a rimanere di grande attualità nei prossimi anni.