Nel 2025, la geopolitica europea si trova in una fase di profonda ridefinizione. Dalla crisi ucraina alla crescente instabilità nei Balcani e nel Sud del Mediterraneo, le nuove minacce hanno riportato al centro del dibattito pubblico il concetto di riarmo europeo e la necessità di rafforzare il pilastro difensivo dell’Unione Europea. In questo scenario, l’Italia gioca un ruolo centrale grazie alla leadership di figure come Mario Draghi e Sergio Mattarella.
Le strategie adottate negli ultimi mesi da Roma sono diventate un punto di riferimento per i partner continentali, mentre il dibattito interno si anima attorno a scelte che, seppur orientate alla sicurezza, non sono prive di contraddizioni e critiche. Il coinvolgimento di aziende come Leonardo – protagonista di un’offerta rilevante per Iveco Defence – sottolinea la volontà di legare industria, politica e sicurezza in una strategia coerente, pur tra le contestazioni di una parte significativa dell’arco parlamentare, in particolare il Partito Democratico.
Il seminario di Mario Draghi in Portogallo: strategia e visione per il futuro
Uno degli episodi chiave della recente agenda politica europea è il seminario organizzato da Mario Draghi in Portogallo. L’evento, strutturato per affrontare nello specifico il ruolo dell’Europa nella nuova competizione globale, ha visto la partecipazione di esperti di sicurezza, amministratori delegati dell’industria bellica e numerosi esponenti politici.
Durante il seminario, Draghi ha delineato i nuovi pilastri della politica estera italiana in linea con le priorità europee: collaborazione rafforzata con i partner atlantici, maggiore investimento tecnologico nella difesa e definizione di una strategia industriale comune. La scelta del Portogallo, non casuale, segna la volontà dell’Italia di rafforzare l’asse sud-occidentale dell’UE, puntando a una difesa europea meno dipendente dagli assetti tradizionali NATO.
Vale la pena notare che il linguaggio usato da Draghi, pragmatico ma proiettato verso una riforma strutturale della sicurezza europea, ha raccolto sia consensi sia perplessità. Alcuni osservatori hanno sottolineato il rischio di una progressiva militarizzazione della politica estera, mentre altri hanno applaudito la concretezza delle proposte, considerate ormai inevitabili alla luce delle sfide geopolitiche contemporanee.
Sergio Mattarella e il ruolo-guida dell’Italia in Europa
Il Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, ha giocato un ruolo di primo piano nell’accompagnare – e in alcuni casi, guidare – la nuova postura internazionale italiana. Mattarella, in carica da oltre dieci anni, ha seguito da vicino le iniziative di Draghi, recandosi personalmente in alcuni consessi europei e sollecitando un maggiore coinvolgimento della UE nella gestione delle crisi attuali.
Degna di nota è la sua capacità di rappresentare una continuità istituzionale in un quadro che, a livello parlamentare e governativo, appare spesso esposto a tensioni e cambi di rotta. Mattarella è percepito come un garante del multilateralismo e della solidarietà europea, ma non ha esitato a sostenere scelte forti in materia di sicurezza, allineandosi con le spinte della nuova politica estera italiana.
Il Presidente ha inoltre sottolineato, in più occasioni, l’importanza di coniugare il riarmo con il rispetto dei valori fondanti dell’Unione: democrazia, diritti, solidarietà. Un equilibrio che resta difficile da trovare ma che appare, nelle sue dichiarazioni, come l’unica via percorribile per evitare che il rafforzamento difensivo si trasformi in un pretesto per la limitazione delle libertà civili.
Il riarmo europeo: contesto, trend e prospettive
L’avanzata del riarmo europeo è ormai un dato di fatto. Negli ultimi tre anni, la spesa militare nei paesi UE ha superato il 2% del PIL in molti Stati membri – un salto storico rispetto ai parametri tradizionali. Questi investimenti sono rivolti non solo all’acquisto di nuovi armamenti, ma anche allo sviluppo di tecnologia autonoma, cyberdifesa e collaborazione industriale.
Le ragioni di questo trend sono molteplici:
- Crisi ucraina: la guerra alle porte dell’Europa ha reso evidente l’impreparazione delle difese continentali.
- Rafforzamento statunitense: la rinnovata enfasi della NATO sulle spese militari ha avuto effetto trainante.
- Pressioni interne: la crescente richiesta di sicurezza da parte delle opinioni pubbliche accompagna le spinte dei comparti industriali.
In questa cornice, il coinvolgimento diretto dell’Italia e il protagonismo di Draghi e Mattarella appaiono come la risposta nazionale a una domanda che viene da Bruxelles, ma anche da Berlino, Parigi e Madrid. L’obiettivo dichiarato dai principali attori politici è la costruzione di un’industria della difesa europea solida e autonoma, capace di affrontare le sfide geopolitiche Europa con strumenti tecnologici e strategici propri.
Il caso Leonardo-Iveco Defence: industria e politica allineate
Un capitolo particolarmente significativo riguarda la recente offerta avanzata da Leonardo per l’acquisto di Iveco Defence. Questa operazione, su cui il governo ha espresso parere favorevole, evidenzia la sinergia tra industria e politica nella strategia di rilancio dell’apparato difensivo italiano.
Leonardo, già leader nel settore dell’aerospazio e della sicurezza, punta così a integrare una componente chiave della mobilità militare terrestre. L’acquisizione sarebbe funzionale sia alla produzione di mezzi “dual use” (impiego civile e militare), sia alla soddisfazione dei nuovi requisiti imposti dall’UE sulle forniture strategiche.
Il processo, ancora in fase di valutazione da parte delle autorità antitrust europee, si inserisce nella logica della creazione di "campioni europei" della difesa: aziende capaci di competere su scala globale senza dipendere eccessivamente da fornitori extra-europei. Se l’offerta dovesse andare a buon fine, segnerebbe un punto di svolta nell’evoluzione della Leonardo Iveco Defence e della presenza italiana sui principali mercati internazionali.
Va inoltre osservato come questa strategia industriale sia stata incoraggiata apertamente non solo da Draghi ma anche da Mattarella, in una chiara convergenza istituzionale che mira a rafforzare la posizione nazionale nella filiera della sicurezza. Nell’analisi di molti esperti, questa è la prova tangibile che il cosiddetto partito delle armi ha trovato nei vertici dello Stato due sostenitori convinti, seppur attenti a non abbandonare la cornice etica e legale del contesto europeo.
Le critiche del Pd e il dibattito sul neo-bellicismo europeo
Non manca, tuttavia, una voce critica che invita alla prudenza. È il caso del Partito Democratico che da mesi denuncia il rischio che la corsa agli armamenti si traduca in una pericolosa escalation bellica e in una perdita di centralità per la diplomazia.
I portavoce dem hanno più volte sottolineato come l’aumento della spesa militare possa sottrarre risorse fondamentali a settori quali l’istruzione, la sanità e le politiche sociali. Sono inoltre numerosi i richiami al rispetto dei principi costituzionali in materia di guerra e pace, nonché alle tradizionali linee guida del multilateralismo.
Allo stesso tempo, le critiche interne non sempre riescono a tradursi in una proposta alternativa credibile. La percezione, in parte dell’opinione pubblica, è che il realismo imposto dalle attuali sfide geopolitiche Europa renda inevitabile il rafforzamento della difesa, a fronte di minacce che non sembrano destinate a scomparire nel breve periodo. Restano, però, le perplessità circa il rischio di un arretramento dei diritti civili e l’incognita sull’effettiva capacità della UE di coordinare politiche condivise a livello continentale.
Il “partito delle armi”: una nuova forza politica?
La convergenza tra apparato industriale, governo, Presidenza della Repubblica e una parte crescente delle élite politiche e mediatiche fa parlare ormai apertamente di un vero e proprio partito delle armi. Non si tratta di un partito in senso stretto, ma di un insieme di interessi interconnessi che, dalla crisi ucraina in poi, hanno guadagnato centralità nel processo decisionale.
Questo "partito" incorpora:
- I vertici delle principali aziende della difesa (Leonardo, Fincantieri, ecc.)
- Settori dell’amministrazione pubblica legati alla sicurezza nazionale.
- Esponenti di un vasto arco parlamentare, con rare eccezioni tra le minoranze pacifiste.
Il fenomeno non è esclusivamente italiano: dinamiche simili si osservano anche in Francia e Germania, sebbene in Italia la legittimazione pubblica del riarmo, grazie al sostegno trasversale di figure del calibro di Draghi e Mattarella, abbia raggiunto livelli senza precedenti. In tale quadro, la dialettica democratica rischia di essere compressa a favore dell’efficienza decisionale, con tutto ciò che ne consegue in termini di controllo parlamentare e pluralismo informativo.
Prospettive e sfide future per l’Unione Europea
Guardando al futuro, il riarmo europeo e la nascita di una vera e propria autonomia strategica rappresentano un passaggio cruciale per la sopravvivenza politica e militare della UE. Tuttavia, le sfide non mancano:
- Necessità di coordinamento reale e non solo formale tra gli Stati membri.
- Definizione di una divisione del lavoro industriale che eviti duplicazioni costose.
- Mantenimento di un equilibrio tra difesa e rispetto dei valori democratici.
- Risposta efficace alle crisi energetiche, alimentari e climatiche connesse agli scenari bellici.
Solo una strategia multilaterale, con un ruolo attivo della società civile (inclusi sindacati, associazioni, università), potrà impedirne una deriva tecnocratica e autoritaria.
Conclusioni: un equilibrio difficile fra difesa, diplomazia e democrazia
In definitiva, il 2025 segna un anno di svolta per le strategie di sicurezza e difesa europee, con l’Italia in posizione di leadership grazie alle scelte concertate da Mario Draghi e Sergio Mattarella. Il percorso verso una maggiore autonomia passa attraverso investimenti industriali (si pensi all’offerta Leonardo Difesa per Iveco), coordinamento politico e una ridefinizione delle relazioni con i partner transatlantici. Tuttavia, il rischio di una compressione degli spazi democratici richiede un controllo costante da parte del Parlamento e degli organi di tutela dei diritti civili.
Il dibattito resta aperto, e la capacità di conciliare le esigenze della sicurezza con la salvaguardia dei valori europei rappresenterà la vera cartina di tornasole delle nuove strategie geopolitiche continentali. La partita è complessa, le variabili molteplici, ma il tempo delle scelte rinviate sembra essersi definitivamente concluso. L’Europa, e l’Italia con essa, sono ormai chiamate a decidere il proprio destino.