Scuole statali: nuove regole, istituzioni ridotte a 7389
Indice dei paragrafi
* Introduzione e contesto normativo * I criteri di determinazione delle sedi scolastiche * La riduzione delle istituzioni e il coefficiente di 938 studenti * Il numero massimo di sedi: il limite delle 7389 * Deroghe e possibili eccezioni al numero di istituzioni * Il correttivo previsto per l’anno scolastico 2026/2027 * Implicazioni per territori e studenti * Reazioni del mondo scolastico * Sintesi e prospettive future
Introduzione e contesto normativo
Con il decreto interministeriale n. 124 del 30 giugno 2025, il Ministero dell’Istruzione e del Merito ha introdotto nuove disposizioni per la riorganizzazione e la determinazione delle istituzioni scolastiche statali e la sua distribuzione sull’intero territorio nazionale a partire dall’anno scolastico 2026/2027. In un contesto in cui la riforma scolastica rappresenta sempre di più un tema all’ordine del giorno, il decreto aggiorna e raccorda il quadro normativo, rispondendo sia all’esigenza di razionalizzare l’offerta che alla necessità di garantire standard adeguati.
Il provvedimento risponde anche a una serie di richieste provenienti da diversi territori, alle prese con le sfide rappresentate dal calo demografico, dagli squilibri territoriali negli organici e da una crescente domanda di efficienza amministrativa. Riduzione istituzioni scolastiche 2026, coefficiente 938 alunni per istituzione e normativa istituzioni scolastiche 2025 sono le parole chiave che sintetizzano gli snodi centrali di questa importante riforma.
I criteri di determinazione delle sedi scolastiche
Il decreto stabilisce criteri stringenti per la costituzione, l’attivazione e la permanenza delle sedi scolastiche. In particolare, si introduce un parametro oggettivo e unico che lega il numero delle sedi scolastiche attivabili al numero di studenti iscritti. Tale criterio, identificato come coefficiente 938 alunni per istituzione, rappresenta un punto di svolta rispetto al passato, in cui territori e tipologie di scuole ricevevano talvolta trattamenti differenziati.
L’obiettivo principale, secondo quanto dichiarato nei dossier ufficiali di accompagnamento, è assicurare una maggiore omogeneità su scala nazionale nella distribuzione delle risorse e nella configurazione della rete scolastica. Questa ridefinizione è stata pensata nell’ottica della sostenibilità gestionale e della coerenza rispetto agli indicatori demografici, puntando a un utilizzo ottimale delle risorse umane e finanziarie.
La riduzione delle istituzioni e il coefficiente di 938 studenti
Uno degli elementi di maggiore impatto del testo normativo è senza dubbio il limite di studenti per ciascuna istituzione. Da settembre 2026, ogni scuola o istituto scolastico statale potrà essere costituito solo se rappresentativo di una popolazione minima calcolata sulla base del coefficiente unico di 938 studenti. Questo parametro interessa sia il primo che il secondo ciclo di istruzione, coinvolgendo quindi scuole primarie, secondarie di primo grado e scuole secondarie di secondo grado.
Per i dirigenti scolastici, i consigli di istituto e le amministrazioni locali, questa nuova soglia comporta una radicale ristrutturazione, soprattutto in molti territori con pochi alunni e molteplici plessi scolastici sparsi. La razionalizzazione è infatti volta a ridurre la frammentazione delle autonomie scolastiche e a evitare la moltiplicazione di incarichi dirigenziali, spesso poco sostenibili da un punto di vista di spesa pubblica e di efficienza gestionale.
La scelta del coefficiente unico rappresenta anche una risposta politica al tema del decremento demografico, offrendo un riferimento stabile attorno al quale costruire la pianificazione della rete scolastica nazionale per i prossimi anni.
Il numero massimo di sedi: il limite delle 7389
Uno dei capisaldi della nuova normativa è l’introduzione di un numero massimo di istituzioni scolastiche statali attivabili: a livello nazionale la consistenza complessiva non potrà superare le 7389 unità. Questo dato si rifletterà nella ridefinizione del piano dell’offerta formativa dell’intero Paese e andrà progressivamente a sostituire assetti precedenti che, in alcuni casi, permettevano una maggiore frammentazione delle istituzioni scolastiche presenti.
La fissazione di un tetto massimo, secondo il Ministero, nasce dalla volontà di assicurare una sostenibilità di sistema e di garantire che ogni realtà scolastica abbia una massa critica adeguata di studenti e risorse. L’esperienza degli anni precedenti, caratterizzati da fusioni di istituti e accorpamenti amministrativi, ha messo in luce quanto una pianificazione troppo frammentaria possa creare difficoltà nell’erogazione di servizi didattici e nella gestione del personale.
Attraverso questa misura si mira anche a riequilibrare i rapporti tra le diverse regioni, superando logiche campanilistiche e favorendo una revisione razionalizzata della struttura amministrativa del sistema-scuola.
Deroghe e possibili eccezioni al numero di istituzioni
Nonostante la rigidità della nuova impostazione, il decreto interministeriale n. 124 del 2025 lascia spazi a deroghe e possibilità di eccezione, pensate soprattutto per territori con particolari criticità geografiche, demografiche o socio-economiche. In particolare, vengono evidenziate situazioni tipiche delle aree montane, delle isole minori o dei contesti fortemente svantaggiati, nei quali l’applicazione rigorosa del coefficiente di 938 alunni per istituzione non sarebbe possibile senza provocare la scomparsa delle uniche scuole presenti.
Le Regioni, d’intesa con gli Uffici scolastici regionali e con gli Enti locali, potranno così presentare istanze di deroga motivate, dimostrando l’esigenza di mantenere attivi determinati plessi anche in presenza di numeri inferiori a quelli previsti dal decreto. La valutazione di queste istanze avverrà sulla base di criteri oggettivi, come la distanza tra plessi, l’accessibilità o le condizioni di marginalità territoriale.
Questa previsione nasce dalla consapevolezza che il principio dell’equità deve conciliarsi con l’obbligo costituzionale di garantire il diritto allo studio su tutto il territorio nazionale, nessuno escluso.
Il correttivo previsto per l’anno scolastico 2026/2027
Uno degli aspetti più innovativi del decreto è la previsione di un correttivo per l’anno scolastico 2026/2027 che consente un leggero incremento del numero di istituzioni scolastiche rispetto al limite massimo fissato. Più precisamente, per il solo anno scolastico 2026/2027, è previsto un aumento pari al 1,60% rispetto al totale nazionale delle istituzioni, giustificato dall’esigenza di facilitare la transizione al nuovo sistema e di non produrre effetti traumatici, soprattutto in territori già sottodimensionati.
Questa misura permette di mantenere attive alcune autonomie scolastiche in più nell’arco del primo anno di applicazione del decreto, in attesa di un assestamento definitivo della rete scolastica. Il correttivo risponde a una logica di gradualità ed è stato accolto in modo positivo da molti amministratori locali e dai sindacati di categoria, che avevano richiesto un approccio più morbido per la fase di avvio.
È importante sottolineare che il correttivo non rappresenta una deroga permanente ma solo una misura temporanea, finalizzata a tutelare la continuità didattica e a garantire un passaggio ordinato verso il nuovo assetto regolatorio.
Implicazioni per territori e studenti
L’impatto della riforma sarà differenziato a seconda dei territori. Nei grandi centri urbani, dove la densità scolastica e demografica è alta, il numero di studenti per istituzione risulta ampiamente superato e la nuova normativa richiederà pochi aggiustamenti. Più complessa la situazione nei contesti a bassa densità, nelle periferie, nelle aree appenniniche o insulari. Qui, i processi di accorpamento e razionalizzazione potrebbero comportare, in taluni casi, la chiusura di plessi, l’allungamento delle distanze casa-scuola per gli alunni e la necessità di rafforzare servizi di trasporto e accoglienza.
Per le famiglie e gli studenti, l’introduzione della soglia minima di 938 studenti per istituzione scolastica può avere effetti diversi: se da un lato si assicura una maggiore offerta formativa nelle istituzioni accorpate, dall’altro si pone il rischio di perdita del presidio educativo locale, specie laddove la scuola rappresenta un punto di riferimento insostituibile. Le deroghe numero istituzioni scolastiche e le modalità con cui saranno attuate rappresenteranno quindi uno snodo determinante per evitare ricadute negative sui diritti degli alunni delle aree più fragili.
Reazioni del mondo scolastico
L’annuncio delle nuove misure ha generato reazioni eterogenee all’interno della comunità scolastica. I sindacati della scuola, in particolare, hanno accolto con prudenza il nuovo assetto, sottolineando la necessità di garantire comunque la qualità dell’offerta formativa e di non penalizzare il personale scolastico coinvolto nei processi di fusione. Alcune organizzazioni denunciano il rischio di “scuola di serie B” per chi vive nelle realtà più isolate.
Al tempo stesso, molte voci del mondo accademico e amministrativo hanno sottolineato come il nuovo criterio di distribuzione scuole statali possa finalmente portare a una gestione più omogenea, superando logiche troppo locali e garantendo maggior efficienza. La pubblicazione della normativa istituzioni scolastiche 2025 è ritenuta un passo significativo verso una modernizzazione del sistema-scuola, specialmente in un momento di transizione come l’attuale.
Sintesi e prospettive future
In conclusione, il decreto interministeriale n. 124 del 2025 segna una svolta nel modo in cui vengono gestite e distribuite le istituzioni scolastiche statali in Italia. L’imposizione di un limite massimo di 7389 sedi scolastiche e l’applicazione del coefficiente unico di 938 alunni per istituzione rappresentano misure destinate ad incidere profondamente sul panorama dell’istruzione pubblica.
Se la razionalizzazione della rete scolastica risponde a criteri di efficienza e sostenibilità, resta centrale la necessità di adottare con equilibrio deroghe e misure correttive che garantiscano il diritto allo studio in ogni parte del Paese. Il periodo transitorio del 2026/2027 e il correttivo previsto (+1,60%) costituiscono una prima prova di tenuta per il nuovo assetto, mentre la reale efficacia delle riforme sarà giudicata nei prossimi anni.
L’aggiornamento del quadro normativo delle scuole italiane, infine, offre l’occasione per una riflessione più ampia sul ruolo dell’istruzione come fattore di coesione territoriale, innovazione e sviluppo civile. Temi che, oggi più che mai, sono destinati a restare centrali nel dibattito pubblico, nell’attesa di futuri aggiustamenti che adattino il sistema ai cambiamenti demografici, sociali e culturali del Paese.