A Chi Appartiene l’Oro Italiano? Stato, Cittadini e la Verità sulle Riserve Auree tra Emendamento Malan e Critiche
Indice dei paragrafi
1. Introduzione: La domanda sull’oro italiano 2. La storia delle riserve auree della Banca d’Italia 3. L’emendamento Malan: origine e contenuto 4. Mario Esposito e la tutela dello Stato 5. Le voci critiche: Salvatore Rossi e Ferruccio de Bortoli 6. Le ragioni del “partito della BCE” 7. Implicazioni giuridiche dell’emendamento Malan 8. Impatto sulle politiche monetarie ed europee 9. Il punto di vista degli italiani: oro nazionale o tecnocrazia finanziaria? 10. Prospettive future e possibili scenari 11. Sintesi e conclusioni
Introduzione: La domanda sull’oro italiano
Il dibattito sulla proprietà dell’oro custodito dalla Banca d’Italia si riaccende ciclicamente, suscitando interesse non solo tra gli addetti ai lavori del settore finanziario ed economico, ma anche tra semplici cittadini. Di chi è realmente l’oro italiano? Appartiene tecnicamente allo Stato, ai cittadini, o, come si mormora tra alcuni ambienti politici ed economici, può essere considerato “dei tecnocrati europei” identificati spesso nel cosiddetto partito della BCE?
Questo tema, che sembra solo apparentemente tecnico, si intreccia in profondità con la sovranità nazionale, la tutela del risparmio, i rapporti con le istituzioni comunitarie e la gestione delle riserve strategiche. L’attuale discussione prende spunto da un recente emendamento, noto come emendamento Malan, che punta a chiarire una volta per tutte a chi spetti la legittima proprietà delle riserve auree italiane. Ma il dibattito, come spesso accade in Italia, si accende anche di toni politici e visioni contrapposte.
La storia delle riserve auree della Banca d’Italia
Le riserve auree della Banca d’Italia rappresentano un patrimonio di notevole rilevanza nazionale. Storicamente, la loro formazione è avvenuta attraverso una serie di accumuli graduali, frutto delle politiche monetarie, commerciali e patrimoniali dell’Italia sin dagli anni immediatamente successivi all’Unità d’Italia. La posizione dell’Italia tra i grandi detentori mondiali di oro è stata consolidata nel corso del Novecento e si rafforza ulteriormente durante e dopo il periodo bellico.
Tali riserve hanno ricoperto storicamente il ruolo fondamentale di copertura della moneta e di garanzia nei confronti della fiducia internazionale. Attualmente, l’Italia vanta uno dei patrimoni aurei più ingenti del pianeta, secondo solo agli Stati Uniti e alla Germania, superando di gran lunga moltissimi altri Paesi europei.
Queste riserve, comunemente note come "oro della Banca d’Italia", sono state da sempre trattate come bene patrimoniale pubblico, sebbene la gestione sia formalmente affidata all’Istituto centrale, che le custodisce in nome e per conto dello Stato italiano.
L’emendamento Malan: origine e contenuto
Nel 2025 il senatore Lucio Malan presenta un emendamento chiave all’interno di un più ampio disegno di legge in materia economico-finanziaria. L’emendamento Malan, così denominato, stabilisce in modo esplicito che le riserve auree appartengono allo Stato italiano e non alla Banca d’Italia come istituzione autonoma e indipendente.
La ratio dell’emendamento si fonda sulla necessità di un chiarimento giuridico richiesto sia dal dibattito interno sia dalla pressione di una parte dell’opinione pubblica. Infatti, alcune interpretazioni avevano suggerito che la Banca d’Italia potesse detenere un diritto di proprietà in proprio sulle riserve, configurando così una singolare situazione in cui l’Istituto, comunque organo dello Stato – seppur con maggiore autonomia –, gestisse in proprio un capitale di importanza strategica.
L’emendamento spazza via ogni ambiguità e rafforza la centralità dello Stato quale legittimo proprietario, anche a tutela della sovranità economica nazionale. Questo dettaglio non è puramente formale: si gioca qui una delicata partita tra autonomia delle istituzioni finanziarie e priorità dell’interesse collettivo, oltre a gettare una luce diretta su chi possiede realmente l’oro in Italia.
Mario Esposito e la tutela dello Stato
La posizione di Mario Esposito, giurista di fama nazionale, è tra le più solide a favore dell’emendamento Malan. Secondo Esposito, si rende necessario un atto normativo chiaro che fughi ogni dubbio interpretativo circa la proprietà delle riserve auree, argomentando che si tratta di beni pubblici, la cui titolarità non può mai essere sottratta allo Stato né gestita in modo discrezionale da enti pur dotati di autonomia.
Egli difende pubblicamente l’emendamento come un mero chiarimento giuridico e non come uno strumento di esproprio o di nazionalizzazione forzata. Esposito afferma che stabilire normativamente la proprietà dello Stato sulle riserve d'oro è il modo migliore di proteggere questi beni da ogni possibile rischio di utilizzo improprio o pressione esterna.
Nel dibattito attuale, il nome di Mario Esposito è spesso associato a un approccio pragmatico che pone al centro la tutela materiale e simbolica dell’oro Stato italiano, e sostiene che anche dal punto di vista degli equilibri tra i diversi poteri dello Stato non si possa fare a meno di una disciplina chiara e coerente.
Le voci critiche: Salvatore Rossi e Ferruccio de Bortoli
Il fronte del dissenso viene rappresentato principalmente da due figure autorevoli: Salvatore Rossi, già direttore generale di Bankitalia, e Ferruccio de Bortoli, storica firma del giornalismo economico italiano.
Salvatore Rossi manifesta perplessità sull’emendamento, sostenendo che si tratti di una risposta politica a una questione che doveva restare eminentemente tecnica. Secondo Rossi, la gestione delle riserve auree rientra naturalmente nell’alveo della competenza della Banca d’Italia, che opera in autonomia seguendo linee guida concordate in ambito europeo, in particolare con la Banca Centrale Europea.
Da parte sua, Ferruccio de Bortoli espone timori circa possibili utilizzi impropri delle riserve auree qualora lo Stato le considerasse un “tesoretto” a cui attingere per scopi di bilancio ordinario. Una simile impostazione rischierebbe, secondo lui, di indebolire la credibilità internazionale dell’Italia e di esporre il Paese a richieste o pressioni indebite da parte sia dei mercati che delle istituzioni sovranazionali.
Le critiche Rossi de Bortoli oro rientrano dunque in una prospettiva cautelativa e tesa a preservare la stabilità monetaria e finanziaria, sottolineando il rischio di derive strumentali nell’utilizzo delle riserve d’oro.
Le ragioni del “partito della BCE”
Nel dibattito emerge spesso una dicotomia tra “nazionalisti economici” e sostenitori di una governance condivisa con le istituzioni europee. Il cosiddetto partito della BCE viene identificato da parte di alcuni opinionisti in quello schieramento politico-culturale che guarda all’Unione Europea e all’Eurozona come garanzia primaria per la stabilità del sistema economico.
Secondo questa linea, le riserve auree, pur essendo formalmente italiane, devono essere gestite anche nell’ottica di una partecipazione attiva alle politiche monetarie dell’Eurozona. Sarebbe dunque sbagliato, secondo il partito della BCE, riportare integralmente a livello nazionale una governance che, per motivi di sicurezza collettiva, deve restare almeno in parte sotto il coordinamento delle istituzioni centrali europee.
Tuttavia, è importante tenere presente che la BCE non ha, né rivendica, alcun diritto di proprietà sulle riserve detenute dai singoli Paesi: esse restano, a tutti gli effetti, beni di proprietà degli Stati nazionali, pur rientrando nel framework di collaborazione europea progettato per garantire la solidità dell’euro.
Implicazioni giuridiche dell’emendamento Malan
L’emendamento Malan apre a una serie di implicazioni giuridiche di non trascurabile portata. In primo luogo, ribadire la proprietà dello Stato sulle riserve auree comporta infatti la necessità di rimodulare i rapporti tra l’esecutivo nazionale e la Banca d’Italia, ridefinendo prerogative e responsabilità. Questo implica anche una maggiore responsabilizzazione della politica qualora future crisi impongano scelte delicate sul destino di riserve e patrimoni pubblici.
In secondo luogo, dal punto di vista della legislazione comparata, altri Paesi dell’Eurozona già da tempo hanno chiarito in modo analogo la titolarità pubblica delle riserve strategiche, proprio per evitare qualsiasi ambiguità che possa essere interpretata – soprattutto da investitori e osservatori esterni – come segnale di instabilità o mancanza di trasparenza.
Infine, occorre sottolineare che la chiarezza normativa contribuisce a blindare le riserve d’oro da possibili azioni giudiziarie o tentativi di sequestro nei confronti della Banca d’Italia, che resterebbe esposta qualora l’oro fosse considerato un bene proprio e non dello Stato.
Impatto sulle politiche monetarie ed europee
L’emendamento Malan e il conseguente chiarimento circa la proprietà dell’oro della Banca d’Italia hanno un riflesso diretto sulle politiche monetarie ed europee. Se da un lato si rafforza la posizione dello Stato italiano, dall’altro si rende necessario mantenere saldo il rapporto di collaborazione con la BCE e con le altre istituzioni finanziarie dell’Unione.
L’oro Banca d’Italia non viene utilizzato direttamente a scopi monetari nella vita quotidiana dei cittadini, ma rappresenta una forma di garanzia di ultima istanza, da utilizzare in caso di crisi sistemiche o a fronte di necessità di interventi in contesti internazionali.
Va ricordato che la stabilità dell’euro dipende anche dalla forza e dalla sicurezza dei bilanci delle singole banche centrali nazionali, per cui la trasparenza e la chiarezza sulla proprietà delle riserve risultano funzionali all’interesse collettivo nazionale ed europeo.
Il punto di vista degli italiani: oro nazionale o tecnocrazia finanziaria?
Un aspetto spesso sottovalutato nel dibattito sugli editoriali oro italiano riguarda la percezione della cittadinanza. Per molti italiani, le riserve auree rappresentano un simbolo tangibile della ricchezza e della solidità del Paese. L’acceso confronto tra coloro che sostengono una gestione nazionale e chi invece privilegia i rapporti con l’Europa riflette la più ampia tensione storica tra esigenze di sovranità e dinamiche di integrazione internazionale.
L’emendamento Malan oro cristallizza un sentimento diffuso nella società: quello per cui il patrimonio nazionale debba restare sotto il controllo della collettività, evitando che decisioni sulle risorse strategiche vengano prese in sedi percepite come lontane o non trasparenti.
È interessante rilevare, inoltre, come gli editoriali suscitino un crescente interesse tra i giovani e i cittadini più attenti ai temi della finanza pubblica, spesso stanchi di narrative tecnocratiche e propensi a richiedere più trasparenza e partecipazione nelle scelte che riguardano i beni comuni.
Prospettive future e possibili scenari
Alla luce dell’attuale dibattito, le prospettive sull’ultimazione dell’emendamento e sul destino delle riserve auree si aprono a molteplici scenari. Da un lato, la conferma legislativa della proprietà statale potrebbe rassicurare i mercati e mostrare una maggiore maturità istituzionale. Dall’altro, un approccio troppo rigido e non coordinato con le istituzioni europee rischierebbe di alimentare tensioni nel rapporto Italia-BCE.
Sarà fondamentale, pertanto, mantenere avviato il dialogo tra istituzioni italiane e partner europei, affinché la nuova disciplina si accompagni a una governance efficace, evitando il classico rischio dell’autoreferenzialità tipica del dibattito italiano.
Non si può escludere che, in futuro, la questione delle riserve auree possa tornare prepotentemente al centro dell’agenda politica, magari in occasione di crisi economico-finanziarie o di riforme dei trattati europei.
Sintesi e conclusioni
In conclusione, il dibattito su "chi possiede l’oro Italia" è molto più di una disputa tecnica: rappresenta una riflessione profonda sul rapporto tra Stato, cittadini e patrimonio collettivo.
L’emendamento Malan — sostenuto da Mario Esposito e criticato da autorevoli figure come Rossi e de Bortoli — offre un’occasione di chiarezza e responsabilità per il sistema Italia, ribadendo che le riserve auree Bankitalia sono e restano un bene inscindibile della collettività nazionale.
Il confronto, lungi dal risolversi in uno scontro ideologico, dovrebbe alimentare in futuro un dibattito trasparente e informato, in cui centralità dello Stato e rispetto delle regole europee possano trovare un equilibrio dinamico, al servizio della stabilità economica e della fiducia dei cittadini.
Solo mantenendo alta l’attenzione e il confronto pubblico su questi temi, l’Italia potrà continuare a tutelare efficacemente la ricchezza comune e il proprio ruolo in Europa.