COP30 di Belém: Bilancio Critico, Delusioni e una Speranza Pragmatica per il Futuro Climatico Mondiale
La trentesima Conferenza delle Parti delle Nazioni Unite sul Cambiamento Climatico (COP30), ospitata nella città amazzonica di Belém, Brasile, dal 17 al 24 novembre 2025, si conclude tra speranze disattese e un nuovo segnale di pragmatismo politico nelle relazioni tra Nord e Sud del mondo. Di seguito, un’analisi approfondita dei punti chiave che hanno segnato questo importante appuntamento internazionale, destinato a incidere sulla road map globale contro il cambiamento climatico.
Indice dei paragrafi
1. La cornice della COP30 a Belém 2. Un inizio difficile: negoziati in stallo e il peso delle grandi assenze 3. L’accordo finale: il compromesso di una giornata extra 4. Le richieste del Sud globale: triplicare i fondi per la transizione ecologica 5. La coalizione dei novanta Paesi contro i combustibili fossili 6. Bilancio, delusioni e prospettive future 7. Sintesi finale
La cornice della COP30 a Belém
La conferenza ONU clima 2025 ha scelto la capitale dello stato brasiliano del Pará come emblema della sfida straordinaria che l’Amazzonia rappresenta nella lotta per la sostenibilità ambientale globale. L’evento si è svolto in un clima di tensione e fortissime aspettative, considerando la centralità del Brasile e dell’intero Sud globale nell’immaginare percorsi concreti di transizione ecologica. Belém non è stata solo la cornice geografica ma anche il simbolo delle sfide ancora irrisolte tra la necessità di preservare le risorse naturali e il diritto allo sviluppo sociale ed economico.
In questo scenario, la COP30 ha raccolto circa 195 delegazioni, oltre a organizzazioni internazionali, rappresentanti della società civile, imprese e attivisti. Tuttavia, già alla vigilia del summit, l’assenza di alcuni partner internazionali di rilievo, come gli Stati Uniti, rischiava di minare la portata degli accordi attesi e la solidità delle decisioni operative.
Un inizio difficile: negoziati in stallo e il peso delle grandi assenze
I negoziati della COP30 Belém sono rimasti bloccati per giorni, segnalando una sustanziale difficoltà nell’allineare posizioni molto distanti su diversi aspetti cruciali dei dossier climatici. Il tavolo delle trattative è stato segnato da una forte polarizzazione, specialmente sulla questione dei finanziamenti per la transizione ecologica e sulle tempistiche di abbandono dei combustibili fossili.
Un elemento chiave che ha condizionato profondamente l’andamento della conferenza è stata la mancanza di alcuni grandi partner internazionali. L’assenza degli Stati Uniti in particolare, uno dei maggiori emettitori storici di CO2 e guida del blocco occidentale nei summit climatici, ha indebolito il fronte delle grandi economie e lasciato nei presenti la sensazione di doversi assumere oneri superiori senza un vero patto solidale globale.
La delegazione europea, pur presente e attiva nei negoziati clima COP30, ha faticato a compensare questa assenza di “leadership” transatlantica. Di fatto, le dinamiche Nord-Sud sono apparse ancora una volta bloccate da logiche di interesse nazionale e mancanza di consenso su strumenti finanziari condivisi.
L’accordo finale: il compromesso di una giornata extra
Dopo giorni di trattative inconcludenti, la COP30 è giunta a un’intesa solo grazie a un’estensione dei lavori: il tanto atteso accordo finale è infatti arrivato soltanto dopo un giorno di prolungamento rispetto alla tabella di marcia prevista. Un dato che testimonia la complessità e la fragilità dei negoziati clima COP30.
L’accordo raggiunto a Belém sul clima non ha soddisfatto appieno nessuna delle parti in causa. Da un lato si è riusciti a confermare l’impegno sulla transizione energetica e sulla necessità di riduzione delle emissioni globali; dall’altro, le misure concrete risultano ancora insufficienti per rispondere all’emergenza citata dai più recenti rapporti dell’IPCC (Intergovernmental Panel on Climate Change).
Il compromesso finale mantiene le promesse delle edizioni precedenti — come Parigi e Glasgow — senza un reale salto di qualità nell’affrontare le responsabilità differentializzate, soprattutto in tema di finanziamenti e criteri di equità per i Paesi in via di sviluppo.
Le richieste del Sud globale: triplicare i fondi per la transizione ecologica
Uno dei temi dominanti degli incontri di Belém è stato quello delle risorse per agevolare la decarbonizzazione nei Paesi meno sviluppati del Sud globale. In particolare, numerose delegazioni si sono fatte portavoce di una richiesta precisa: triplicare i fondi internazionali destinati alla transizione ecologica.
Si stima infatti che, per rispettare la traiettoria degli Accordi di Parigi e mantenere il riscaldamento globale entro 1,5°C a fine secolo, sia necessario un flusso di investimenti pubblici e privati significativamente superiore a quello attuale. I Paesi in via di sviluppo hanno sottolineato come, senza un aumento concreto dei fondi per la transizione ecologica COP30, risulterà impossibile abbandonare il carbone e promuovere energia pulita senza ricadute sociali devastanti.
Questo tema si lega direttamente alla questione dell’equità e del cosiddetto "loss and damage" (perdite e danni), ovvero la compensazione per gli effetti già in corso dovuti al cambiamento climatico, in larga parte subiti da chi meno ha contribuito alle emissioni globali.
Nonostante la portata della richiesta, la risposta dei Paesi sviluppati, sebbene promettente in termini di buone intenzioni, non si è tradotta in impegni finanziari vincolanti o in una revisione ambiziosa del Green Climate Fund, segno che il fossato Nord-Sud resta ancora difficilmente colmabile.
La coalizione dei novanta Paesi contro i combustibili fossili
Uno spiraglio di concreta novità è emerso con la formazione di una vasta coalizione di circa 90 Paesi — comprendente sia Paesi avanzati sia molte economie emergenti — decisa a portare avanti una transizione comune dai combustibili fossili. Questa alleanza rappresenta un risultato di rilievo sotto diversi profili.
* Dimostra che, nonostante la difficoltà dei negoziati multilaterali, esistono blocchi regionali e tematici pronti a investire nella decarbonizzazione. * Propone una tabella di marcia condivisa per ridurre progressivamente la dipendenza da carbone, petrolio e gas. * Include tra i firmatari numerose nazioni del Sud globale che, in cambio di sostegni finanziari e tecnologici, si impegnano in percorsi più virtuosi di transizione energetica.
Sebbene la coalizione transizione combustibili fossili costituisca ancora una piattaforma volontaria, il suo peso politico segnala che le dinamiche multilaterali potrebbero cambiare, con una leadership più diffusa e meno concentrata su pochi grandi attori globali come è accaduto in passato.
Bilancio, delusioni e prospettive future
Alla chiusura del vertice, il bilancio della COP30 di Belém appare oggettivamente deludente. Le promesse solennemente rinnovate non bastano più a mascherare i limiti di un processo decisionale incapace di rispondere all’urgenza climatica con strumenti adeguati.
Fra i motivi di delusione ricorrenti troviamo:
* L’assenza degli Stati Uniti: pesantissima per il suo valore simbolico e operativo nei negoziati internazionali. * Il mancato raggiungimento di accordi finanziari ambiziosi e legalmente vincolati per il sostegno alla transizione dei Paesi poveri. * La gamma di compromessi minimi per superare le resistenze di alcuni Paesi esportatori di fossili. * La conferma di una divisione strutturale tra Nord e Sud del mondo sulle priorità della lotta al cambiamento climatico.
Tuttavia, emergono anche alcuni segnali di pragmatismo COP30, evidenti:
* L’allargamento delle coalizioni tematiche e regionali (come quella dei novanta Paesi). * L’avvio di canali di dialogo bilaterale e multilaterale fuori dal quadro rigido delle trattative ONU. * La consapevolezza crescente che la sfida climatica non può essere più rimandata e richiede un cambio di paradigma, sia nei finanziamenti sia nelle governance.
Sintesi finale
La COP30 di Belém verrà probabilmente ricordata come un vertice a metà: occasione mancata per decisioni coraggiose, ma anche momento di maturazione e transizione verso una diplomazia più pragmatica e meno retorica. Le grandi delusioni restano: la lentezza nei negoziati, la mancanza di impegni finanziari vincolanti e l’assenza di player fondamentali come gli Stati Uniti pesano sulle prospettive di un’azione globale.
Eppure, nella coalizione per la transizione dai combustibili fossili e nella richiesta, ancora inevasa, di triplicare i fondi per la transizione ecologica, si intravedono segnali di una nuova volontà negoziale, più orientata al realismo e al coinvolgimento di tutti gli attori. In attesa della prossima conferenza, la sfida resterà quella di trasformare il pragmatismo in vera efficacia operativa, in grado di rispondere concretamente all’emergenza climatica globale.