Accordo USA-UE sui dazi: Italia e Francia penalizzate
Indice
* Introduzione * I protagonisti dell’accordo: Von der Leyen e Trump * I termini dell’intesa: cosa cambia per i dazi * L’impatto sull’industria europea: tra vincitori e vinti * Il nodo energetico: l’Europa compra dagli Stati Uniti * La posizione italiana: Meloni cauta in attesa dei dettagli * La reazione francese: preoccupazione per l’export * Focus Germania: chi guadagna dal nuovo scenario * Le prospettive per l’industria italiana * L’accordo USA-UE alla prova dei fatti * Il futuro dell’export europeo * Considerazioni politiche e strategiche * Sintesi e conclusione
Introduzione
Il nuovo accordo commerciale tra Stati Uniti e Unione Europea rappresenta uno spartiacque nelle relazioni economiche transatlantiche. Annunciato dall’ex-presidente americano Donald Trump e dalla presidente della Commissione Europea Ursula von der Leyen il 28 luglio 2025, il patto ha sollevato immediatamente reazioni contrastanti, soprattutto tra gli Stati membri. Se per Berlino potrebbe trattarsi di una vera ancora di salvataggio in un periodo di difficoltà industriali, per paesi come Italia e Francia l’impatto si preannuncia più doloroso. Alla base del nuovo equilibrio stanno dazi sulle esportazioni europee, significativi impegni sugli acquisti energetici dagli Stati Uniti e investimenti che, secondo diversi osservatori, lasciano il conto più gravoso ai soliti noti.
I protagonisti dell’accordo: Von der Leyen e Trump
Sono due leader dalla visione opposta sui rapporti commerciali a essersi trovati al tavolo delle trattative: da una parte Donald Trump, fautore dell’“America First” e già noto per aver impresso una stretta protezionistica all’economia statunitense, dall’altra Ursula von der Leyen, presidente della Commissione Europea e artefice di alcuni delicati equilibri interni alla UE. Proprio quest’ultima, stando alle prime analisi, sarebbe riuscita ad ottenere condizioni che tutelano in particolare l’interesse tedesco, lasciando però l’industria italiana e quella francese esposte ai nuovi dazi Stati Uniti Europa.
I termini dell’intesa: cosa cambia per i dazi
L’accordo prevede, secondo quanto annunciato ufficialmente:
* Un dazio del 15% su tutte le merci export europee verso gli Stati Uniti, con l’eccezione dei medicinali, dell’acciaio e dell’alluminio, che continueranno ad essere scambiati a tariffe agevolate. * In cambio, l’Unione Europea si impegna all’acquisto di 750 miliardi di dollari in beni energetici americani (gas naturale liquefatto, petrolio, ecc.) e a investire 600 miliardi di dollari nel mercato statunitense nel prossimo quinquennio.
Questi numeri raccontano un reindirizzamento geopolitico e industriale di enorme portata, che avrà sicuramente effetto sulle filiere produttive dei diversi paesi europei, generando nuovi equilibri interni.
L’impatto sull’industria europea: tra vincitori e vinti
Non tutti i settori e non tutti i paesi membri dell’Unione usciranno però rafforzati da questa intesa. Grazie alla deroga su acciaio e alluminio, la Germania – che si basava ampiamente su queste materie prime e sulla loro trasformazione in prodotti industriali esportati negli USA – vede di fatto difesi i suoi interessi strategici. Invece, le economie di Italia e Francia, fortemente vocate all’export di beni manifatturieri, agroalimentari, moda, meccanica di precisione e altri comparti non esclusi dall’aumento dei dazi, registrano uno svantaggio competitivo considerevole rispetto ai concorrenti extracomunitari.
Le associazioni industriali italiane e francesi, insieme alle organizzazioni agricole, hanno subito segnalato il potenziale danno derivante dalla decisione di imporre nuovi dazi sulle esportazioni: molte imprese temono di dover ridurre le quote di mercato negli Stati Uniti o, in alternativa, trasferire parte della produzione oltre Atlantico per aggirare il problema delle tariffe doganali.
Il nodo energetico: l’Europa compra dagli Stati Uniti
Un capitolo fondamentale della nuova intesa riguarda la componente energetica. Con l’impegno da parte dell’UE ad acquistare 750 miliardi di dollari in beni energetici americani, si afferma e si amplia ulteriormente la dipendenza dell’Europa dalle forniture d’oltreoceano. Questa scelta, motivata anche dal bisogno di diversificare dopo la crisi energetica provocata dalla guerra in Ucraina, comporta però ricadute rilevanti su prezzi, stabilità degli approvvigionamenti e competitività delle imprese europee. Le associazioni di categoria italiane sottolineano come i costi per l’industria potrebbero aumentare, esponendo i comparti maggiormente energy-intensive a una competizione ancora più sfavorevole sui mercati globali.
Allo stesso tempo, la scelta di barattare aperture commerciali in alcuni settori con la promessa di ingenti investimenti e acquisti energetici segna una svolta strategica nella relazione UE-USA, con l’Europa sempre meno autonoma sotto il profilo dell’energia.
La posizione italiana: Meloni cauta in attesa dei dettagli
La presidente del Consiglio italiana, Giorgia Meloni, ha accolto la notizia dell’accordo con moderata soddisfazione, senza però sbilanciarsi. Un atteggiamento di prudenza motivato sia dal peso rilevante che gli Stati Uniti rappresentano come partner commerciale per l’Italia sia dalla consapevolezza che i settori chiave del made in Italy – dall’agroalimentare alla moda, dalla meccanica ai componenti auto – verrebbero penalizzati dalla nuova imposta del 15% sull’export verso gli USA.
Negli ambienti industriali prevale la preoccupazione: Confindustria e confederazioni del commercio hanno richiesto un tavolo di confronto a livello europeo per discutere delle ripercussioni negative dei dazi sull’industria italiana e per valutare eventuali strumenti compensativi a livello nazionale e comunitario.
La reazione francese: preoccupazione per l’export
Anche la Francia, tramite il ministero dell’Economia e delle Finanze, ha espresso "profonda preoccupazione" per le conseguenze immediate sull’export nazionale, soprattutto nei segmenti agricoli, alimentari, automobilistici e tessili che da sempre rappresentano il cuore dell’interscambio con gli Stati Uniti. Le principali organizzazioni di categoria d’Oltralpe temono un calo delle esportazioni e una perdita di competitività a vantaggio di paesi extra-UE, così come una pressione al ribasso sui posti di lavoro del comparto manifatturiero.
Secondo analisti del Centro studi CEPII (Centre d'Études Prospectives et d'Informations Internationales) di Parigi, la distribuzione degli oneri legati ai dazi risulterebbe "marcatamente squilibrata", con Germania favorita rispetto a Italia e Francia, senza un efficace meccanismo di riequilibrio interno all’UE.
Focus Germania: chi guadagna dal nuovo scenario
È la Germania, ancora una volta, la protagonista silenziosa del negoziato tra Bruxelles e Washington. Grazie all’esclusione di acciaio e alluminio dai nuovi dazi e alla tutela dei segmenti produttivi ad alto valore aggiunto, Berlino riesce a mantenere viva la propria piattaforma industriale e il flusso di export verso il mercato nordamericano. Un risultato che, secondo diversi osservatori, deriva dalla forte influenza tedesca sulla politica commerciale europea e dalla capacità di far valere gli interessi strategici nazionali all’interno dei tavoli UE.
Per la Germania, l’accordo costituisce quindi una sorta di "paracadute" in un momento di rallentamento economico interno, mentre per le economie mediterranee, tra cui l’Italia, rappresenta l’ennesima difficoltà in uno scenario internazionalizzato e sempre più competitivo.
Le prospettive per l’industria italiana
L’industria italiana rischia di essere tra le vittime principali del nuovo assetto: comparti come quello dell’agroalimentare – già alle prese con le battaglie sulle denominazioni protette e sui prodotti a marchio italiano – potrebbero vedere diminuire l’accesso privilegiato al mercato USA. Stesso discorso per la meccanica, l’automotive e la moda, ambiti d’eccellenza del made in Italy.
Le associazioni settoriali chiedono l’attivazione di misure di supporto e agevolazioni fiscali per le imprese esportatrici, così da contenere il contraccolpo delle nuove tariffe. Secondo una stima di SACE, l’istituto per il credito all’export, le aziende italiane rischiano una perdita annua cumulata superiore ai 4 miliardi di euro in caso di mantenimento dei nuovi dazi, con effetti diretti sull’occupazione e sulle filiere locali.
L’accordo USA-UE alla prova dei fatti
Nonostante l’apparente entusiasmo di alcune cancellerie europee, sul campo sono molte le incertezze: la messa a regime del nuovo accordo USA UE sui dazi richiederà infatti l’applicazione di normative doganali, la predisposizione di procedure di verifica e un lungo lavoro di armonizzazione fiscale. Inoltre, i 600 miliardi di dollari di investimenti annunciati rappresentano oggi una cifra teorica difficilmente attuabile senza progetti concreti ed efficaci meccanismi di verifica.
Le imprese temono che, almeno nella fase iniziale, i costi amministrativi gravino soprattutto sui piccoli e medi operatori, già più esposti ai rischi della globalizzazione e del rallentamento economico internazionale.
Il futuro dell’export europeo
Se per la Germania il futuro sembra più saldo, per paesi come Italia e Francia si aprono interrogativi determinanti. Il nuovo scenario dei dazi su esportazione europea rischia infatti di indebolire le tradizionali relazioni economiche tra i due blocchi e di cambiare gli assetti produttivi interni all’Unione. Il rischio più concreto è quello di una progressiva erosione delle quote di mercato europeo negli Stati Uniti, in favore di competitori asiatici o americani che non sono soggetti agli stessi dazi.
Gli operatori auspicano una maggiore unità tra gli Stati membri nella difesa degli interessi condivisi e una revisione rapida degli strumenti di compensazione, pena la perdita di competitività delle filiere continentali in settori strategici.
Considerazioni politiche e strategiche
La partita che si gioca attorno ai nuovi dazi USA-UE non riguarda solo economia e dati statistici, ma anche scelte di natura politica e strategica di lungo periodo. La netta sudditanza dell’Europa nei confronti delle strategie energetiche d’oltreoceano segna potenzialmente una fine – o forse una profonda trasformazione – del tradizionale legame atlantico. L’impressione di una Germania ancora una volta privilegiata rispetto ad altri paesi membri rischia di intensificare le tensioni interne all’Unione e rafforzare le argomentazioni dei fautori di una maggiore autonomia strategica e industriale europea.
La sfida ora sarà bilanciare la dipendenza commerciale con la capacità di non sacrificare le eccellenze industriali e manifatturiere del sud Europa e di garantire una crescita sostenibile, equa e competitiva per tutti i membri dell’Unione.
Sintesi e conclusione
L’accordo USA UE dazi annunciato da Ursula von der Leyen e Donald Trump rappresenta una delle principali svolte nel quadro dei rapporti transatlantici degli ultimi anni. Se il testo del patto favorisce alcuni settori industriali – in particolare quello tedesco – la nuova imposizione di dazi sulle esportazioni di gran parte dei beni europei rischia di colpire duramente paesi come Italia e Francia, che fondano la loro crescita sull’export manifatturiero. L’impegno ad acquistare ingenti quantità di energia dagli Stati Uniti rafforza il legame economico tra i due blocchi, ma al tempo stesso accresce la vulnerabilità energetica dell’Europa rispetto alle scelte americane. Il futuro dell’industria italiana e francese, in questo nuovo scenario, passa necessariamente attraverso una revisione degli strumenti di politica commerciale a livello europeo e la capacità di ritrovare un equilibrio che consenta uno sviluppo comune e sostenibile sullo scacchiere internazionale.